
Ora che in vasca l’Italia del nuoto si è rimessa a pescare una medaglia dietro l’altra, fa ancora più clamore la distanza che separa gli azzurri in piscina (quattro podi solo nella prima giornata agli Europei) e quelli sulle piste di atletica. Una vera rivoluzione rispetto a quello che succedeva 10-15 anni fa quando a primeggiare a livello mondiale erano i fondisti come Antibo, Cova, Mei, i maratoneti come Bordin, sino ai salti della leonessa Fiona May e agli ostacoli d’oro di Fabrizio Mori. Oggi le parti sembrano essersi completamente rovesciate: il nuoto domina, sogna in grande verso i Giochi di Pechino (e trascina sul podio anche gli azzurri dei tuffi e le sincronette), l’atletica arranca. Ancorata a tre nomi d’eccellenza: Stefano Baldini, oro nella maratona ad Atene 2004, Andrew Howe e Antonietta Di Martino. I recenti Mondiali indoor di Valencia hanno mostrato tutti i limiti: senza Howe, rimasto a casa, e con la Di Martino subito ko nell’alto, l’Italia non ha raccolto neppure una medaglia, sfiorando il podio solo con Donato nel triplo. Pochi talenti in pista, pochi giovani su cui puntare. Sono lontanissimi gli anni d’oro di Mennea, della Simeoni, di un torinese mingherlino, Livio Berruti, che correva con gli occhiali scuri e i calzettoni bianchi e che un giorno d’estate di 48 anni fa incantò il mondo alle Olimpiadi di Roma, vincendo l’oro ed eguagliando il primato mondiale sui 200 metri. Berruti non ha perso un grammo della grinta che lo portò sul podio, ma con amarezza deve rimarcare che oggi la realtà è molto diversa. «L’atletica è uno sport faticoso che richiede preparazione e passione. In pista sei solo con le tue forze e i tuoi pensieri, non puoi incolpare nessuno in caso di sconfitta come può succedere negli sport di squadra. Hai molta pressione e ti confronti davvero con tutto il mondo, non è facile emergere. Inoltre oggi prevale una cultura esasperata dell’immagine e della vittoria a tutti i costi. Lo sport è sempre più condizionato dagli sponsor: ormai tutto dipende da quanto e cosa guadagni».
Negli ultimi anni si nota una certa disaffezione verso l’atletica. Perché? «La prima causa è la cattiva gestione dello sport nelle scuole. E anche la Federazione ha le sue colpe. Un tempo l’atletica era lo sport principale, attirava centinaia di ragazzi: poi è diventata del tutto marginale. Il nuovo presidente della Fidal, Franco Arese, sta cercando di rimediare, ma ci vorrà ancora tempo per raggiungere discipline come il nuoto che hanno lavorato benissimo in questi anni ».
Toto Olimpiadi: a Pechino su chi può puntare l’atletica italiana?
«Su Andrew Howe, in primis. È un vero talento e ha quello spirito garibaldino che gli permette di gestire le tensioni della gara e arginare l’eccesso di responsabilità di cui è stato caricato. E ha come allenatrice sua madre (Renée Felton, ex ostacolista), forse anche troppo grintosa, ma che sa spronarlo alla grande. A Pechino può ripetere l’argento dei Mondiali, ma deve imparare a controllarsi (a Osaka esultò in modo sfrenato ancor prima che saltasse il panamense Saladino, poi oro). Bravissima anche la Di Martino, peccato che paghi qualche cm in altezza rispetto alle sue rivali. Per il resto, non vedo grandi nomi. Ma da qui ai Giochi salterà fuori qualche sorpresa...».
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