domenica 30 settembre 2007

Donne, quando la vita finisce in un sacco di plastica


Donne in sacchetti d’immondizia. Quando la furia omicida maschile colpisce, si rischia di trovare i corpi delle vittime, agonizzanti o già cadavere, avvolti nel cellophane. Sara Washington, Francesca Baleani, e le due straniere uccise questa estate nel Lecchese, sono storie simbolo di una nuova “tendenza”. Donne vittime di gelosie, ricatti, perversioni e truffe. Uccise o ferite e poi sepolte con i volti coperti, come se l’assassino avesse voluto difendere i corpi dall’aggressione di pioggia, animali, vento. Scelta irrazionale, come illogica è la volontà di porre fine alle loro vite.
Questa è la storia dell'omicidio di Sara, uccisa a 22 anni.


30 settembre 2007: Forse ha ucciso Sara Wasington perché la ragazza lo respingeva, ma, subito dopo, ha tentato di rapinare la madre. Non è ancora chiaro il movente di Nando L., il venticinquenne che ieri sera ha confessato alla polizia di aver ucciso la ragazza torinese di 22 anni trovata morta in un sacco di plastica gettato in un laghetto. E ora, sembrano più chiare le modalità dell'omicidio: mentre si trovavano sull'auto del giovane, quest'ultimo avrebbe colpito Sara, a suo dire con un pugno, uccidendola. I primi accertamenti del medico legale confermerebbero la compatibilità della morte con un solo colpo inferto violentemente. Nando L. avrebbe poi guidato fino a casa sua, dove viveva con i genitori, nascondendo il corpo in cantina e sarebbe poi nuovamente uscito per raggiungere l'abitazione della vittima per procurarsi del denaro per fuggire. L'omicida sarebbe entrato nell'alloggio con le chiavi ma sarebbe stato sorpreso dalla mamma della ragazza. E' scoppiata, dunque una colluttazione durante la quale il giovane, che avrebbe ulteriormente perso la testa, avrebbe cercato di soffocare la donna colpendola poi al capo con un posacenere. Probabilmente a un certo punto si è reso conto di quello che stava facendo ed è fuggito e la mamma di Sara avrebbe deciso di non denunciarlo sperando che il giovane le facesse ritrovare la figlia. Speranza vana in quanto venerdì notte, quella successiva al delitto, la donna si è presentata alla polizia a denunciare la scomparsa della figlia. Dopo un lungo interrogatorio l'uomo ha confessato dando indicazioni per ritrovare il corpo che era stato portato fuori Torino. Inizialmente Nando L. si era limitato ad ammettere solo il tentativo di rapina nei confronti della madre di Sara. Un racconto che, però, non ha convinto gli inquirenti, sia per alcune lacune temporali poco spiegabili, sia per la testimonianza di una cameriera del bar in cui i due giovani si erano incontrati. La ragazza ha infatti negato che Sara fosse andata in bagno e che avesse lasciato la borsa sul bancone. Il giovane infatti spiegava così il fatto che fosse entrato in possesso della borsa e quindi delle chiavi di Sara. Nando ha cominciato a cadere in contraddizione, fino a crollare quando gli investigatori gli hanno fatto credere di aver trovato il corpo dell'amica. A quel punto, disperato e in lacrime, il giovane ha confessato dicendo che non aveva intenzione di fare del male alla ragazza. (da repubblica.it)

A suon di campane

Dalla Stampa.it
"un articolo (della Finanziaria, ndr) stanzia 300mila euro per il «restauro della campana di Rovereto» (chissà perché)".

Tonin, l'imbianchino venuto dal mare

Aveva 33 anni Tonin, detto Tony, quando dall'Albania è sbarcato a Molfetta. Era il 1996.
Tony ha messo a nuovo la casa dove abito ora, due stanze, un bagno e una cucina. Racconta spesso del suo passato, tra un lavoretto e un'altro. Vive così, e così ha iniziato.
Era solo Tonin, con il suo coraggio in mano e con la speranza nel cuore in quel lontano luglio del '96. Voleva vivere come un italiano normale a Milano, un italiano con la sua famiglia, la moglie e due figli e con delle cose da raccontare, a volte orgoglioso, a chi gli chiede qualcosa della sua vita. Tonin ha gli occhi sorridenti, fa battute sulle sue giovani amiche italiane, qualche volta con un caffè in mano, aspettando che il silicone attacchi o che la vernice si asciughi. Oggi Tonin ha riso del mio blog. "Se non sono giornali, non valgono", ha detto con il suo italiano imperfetto ma senza accento. Tonin non usa Internet, non sa come funziona ma è un alleato prezioso nella gestione della casa, dalle porte ai fili dove passano tutti questi bit. Sua moglie, Lendina, non lavora e così lui fa più mestieri. Di giorno operaio in un'azienda della zona, di sera e nei fine settimana a servizio della proprietaria del nostro stabile. E' stato fortunato quando è arrivato in Italia. Sbarcato in Puglia ha preso un direttissimo per Milano e qui ha incontrato don Roberto Rondanini. Ha lavorato a lungo per lui: "Ci dava più di centomila lire al giorno per fare i lavori e mi ha trovato una casa". Poi Tony ha imbiancato una villetta, offrendo le sue mani albanesi a metà prezzo ed ha conosciuto nuovi clienti. "A me non importa - mi racconta- se mi pagano di meno rispetto ad un italiano. Noi siamo la manovalanza, lavoriamo bene e non ci lamentiamo". Mentre parla mi viene in mente uno dei libri di Giannantonio Stella che ho letto lo scorso inverno dal titolo "L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi". Un libro che dice molto sulla capacità di adattamento di un popolo che ha traversato gli oceani con la forza della speranza e con il desiderio di una vita migliore. Che all'inizio è stata una vita da schiavi, senza soldi, i vestiti sudici e gli occhi stanchi. Ma Tonin non rappresenta l'emigrato italiano di tanti anni fa. I tempi cambiano e anche le democrazie. Tonin ha già ottenuto quello che voleva. Con rispetto. Lavorando. Anche se con lo sconto perenne.

venerdì 28 settembre 2007

Quando le biciclette sono sporche

Alberto dice piangendo che chi ha ucciso Chiara, ha ucciso anche lui. La mamma della 24enne, con le lacrime agli occhi, afferma, invece, che se è stato Alberto ad uccidere Chiara, allora l'ha uccisa due volte. Non si capisce bene chi sia la vittima di Garlasco, se il fidanzato biondo o la mamma di provincia. Perché di Chiara, in realtà, non parla più nessuno, se non attraverso le immagini dei tg, quelle stesse immagini che la vedono sorridere sempre, come se la sua vita fosse stata sempre tranquilla e serena. E, invece, non doveva esserlo affatto se una mattina del 13 agosto, quando dieci milioni di italiani erano al mare e il resto ad annoiarsi in città, la ragazza è stata trovata morta in un villino nel Pavese. Era davvero solo la brillante studentessa, stagista, ragazza timida e gentile come viene descritta da chi la conosce?Una ventenne può essere tante cose contemporaneamente. Siamo donne, studentesse, lavoratrici, mamme, manager e colf: a 20 anni possiamo essere questo ma anche altro. E tenerci tutto dentro, perché il dolore è privato e se diventa pubblico, poi si trasforma in gossip. Chissà cosa aveva nel cuore e nella testa Chiara quando ha aperto la porta al suo assassino. Se era vero, come dice qualcuno, che aveva scoperto Alberto con un uomo o con la cugina e non lo aveva detto a nessuno. E se per lei era dolore (una cosa del genere cos'altro potrebbe essere?), era soltanto suo. Come il segreto che si è portata nella tomba.

martedì 25 settembre 2007

Vivere per gli altri in Africa

Nel cuore dell’Africa, a Bukumbi (Tanzania), ogni giorno da sei anni padre Franco Manenti opera bambini con malformazioni e visita donne prossime al parto. Il sacerdote, originario di Carobbio degli Angeli (Bergamo), era già stato in Somalia, “dove mi sono specializzato nella cura dei lebbrosi”, racconta con il sorriso sulle labbra. Felice padre Franco (detto “Francone”) sembra esserlo sempre stato, anche quando durante la guerra civile somala degli anni ’90 lo aveva raggiunto una raffica di pallottole. Il frate francescano non si è mai arreso: dalla Somalia al Burundi, da Gibuti alla Tanzania, sempre in viaggio, al limite del pericolo.
Quando si dice la vocazione. Da ragazzo padre Franco studiava per diventare medico. Sacerdote e dottore, perché la sua missione è una sola: fare del bene agli altri e salvare la vita ai più deboli, in quei territori che sembrano dimenticati da Dio e invece lo sono soltanto da chi non vuole investire né capitali né speranze, se un progetto non rende. A Padre Franco poco importava dei soldi e delle soddisfazioni personali quando, dopo una lunga esperienza al Fatebenefratelli a Milano, ha fatto la valigia per partire e ancora, qualche anno dopo, quando con altre persone di Carobbio è partito con sei container carichi di roba, dal generatore di corrente elettrica agli antibiotici che mai in Africa avrebbe potuto trovare. Il programma era ambizioso: ristrutturare l'ospedale di missione dell'arcivescovado di Mwanza (nella foto) che, nel 2001, padre Franco aveva trovato abbandonato. Con l'aiuto economico di alcuni corregionali sono stati rimessi a nuovo la sala ospedaliera e il reparto di Pediatria. Dopo aver aiutato centinaia di malati di Aids, il suo centro è diventato un punto di riferimento per i sieropositivi del luogo. La zona dove opera è nota per l'elevato tasso di malati di Hiv. Gli uomini che lavorano sui traghetti (vicino al centro c'è il grande lago Vittoria) conoscono la pericolosità del virus, ma non fanno molto per evitarlo. Così padre Franco ha deciso di partire dai bambini, per fare prevenzione. E il “suo” ospedale è aperto a tutti coloro che vogliono fare il test. Con padre Franco ci sono circa dieci specialisti del gruppo "Medici volontari del mondo", chirurghi, oculisti e ortopedici, provenienti da tutta Italia. In questi sei anni di lavoro sono stati eseguiti 387 interventi agli occhi, quattro trapianti di cornea e più di cinquemila ecografie. E presto arriveranno nuove macchine per le radiografie. Con padre Franco collaborano ogni giorno una decina di suore della Congregazione del Kilimangiaro. Insieme hanno fatto del "Bukumbi Hospital" un vero centro di missione sanitaria ed evangelica.

giovedì 20 settembre 2007

Sisters


Le mie sorelle, in una foto in carboncino di qualche anno fa

sabato 1 settembre 2007