giovedì 8 febbraio 2007

Storia di una cena al buio

La carne aveva un sapore strano e le patate erano piuttosto salate. Il riso, poi, era fin troppo cotto. Eppure la cena è stata un successo. Tutta al buio, dalla prima all’ultima forchettata, dal primo sorso di acqua all’ultimo di birra in un pub di Como che ospitava la serata organizzata dal Rotaract “Brianza Nord” e dal gruppo milanese dei Disabilincorsa. Ragazzi ciechi con vite normali che durante i weekend fanno i camerieri. L’obiettivo è sensibilizzare i convitati che vivranno, seppur soltanto per qualche ora, la loro quotidianità. Saranno proprio i ragazzi non vedenti ad aiutare noi vedenti: ci aiutano a sistemare il cibo, ci accompagnano al tavolo e in bagno. Ci prendono per mano, dopo aver attraversato l’anticamera in penombra e facciamo ingresso, in fila indiana, nel loro mondo: il buio. Pesto. Sono il rumore ed il palato a comandare per qualche ora. Non si vede cosa c’è nel piatto, si scopre tutto poco alla volta. Anche tastando lo stesso cibo. E scatta il gioco, un indovinello lungo un sera. “Cosa ci sarà mai nel riso?”, domando a Silvia, 35enne del posto. In sala siamo sistemati senza un’organizzazione precisa. Non puoi vedere il tuo vicino a tavola, puoi soltanto sentire i suoi rumori, la sua voce e immaginare il colore dei capelli, quelli degli occhi, la forma del suo naso. Cerchi di intuirlo attraverso il suono delle parole. Diventa quello l’unico mezzo di comunicazione. Dà un senso di libertà, anche se psicologicamente è difficile accettarlo. Ti fanno male gli occhi e non riesci a tenerli chiusi per non soffrire. Il cervello sembra andare in tilt. Non vuole abituarsi alla “extraordinarietà”, ed è comprensibile. Non resta che reagire, dopo i primi minuti di totale smarrimento. E così ti trovi a parlare con perfetti sconosciuti di te, della tua vita. C’è Massimiliano di fronte a me. L’ho visto prima di entrare (ci hanno divisi in gruppi da sei). Ha 25 anni, è prossimo alla laurea in ingegneria ed è lì con la sua ragazza, Bianca, studentessa di matematica e con il fratello di lei, Edoardo o meglio Dodo, 16 anni, seconda liceo scientifico. Dodo non mangia nulla, tranne la prima portata. Non è convinto, non
può vedere cosa c’è nel piatto e non si fida. Così gli passa l’appetito. Con Gabriella e Silvia, alla mia sinistra, si inizia a discutere di tutto. Non vedersi implica una maggiore libertà nel parlare? La risposta, dopo l’esperienza della cena al buio, è un sì deciso. Nessuno sembra avere remore, si dà libero sfogo ai pensieri. Parliamo di uomini. Per esempio – è la domanda - come mai gli uomini milanesi sembrano “dormire”? Le mie vicine comasche rispondono senza esitazioni, dando voce alle loro teorie. In fondo, sono state proprio Silvia e Gabriella ad iniziare, domandando della mia vita sentimentale. E così, mentre cerchiamo di tagliare la carne nel piatto, parliamo della nostra quotidianità. Ci raccontiamo senza problemi. Si fa presto a dire: non ho fame. Se l’occhio non ha la sua parte, lo stomaco si chiude. Piuttosto che mangiare si preferisce discutere. Intorno è tutto un fiume di parole, parole, parole. Tanto che, se qualcuno resta in silenzio per più di un minuto, gli altri si preoccupano. I sensi si affinano. Ci si tocca, ci si interroga sulla disposizione degli altri tavoli, si versa l’acqua con molta attenzione, lentamente. Non puoi quantificare quasi nulla. Anche il liquido nel bicchiere va “sentito”. I ragazzi ipovedenti danno consigli. Sono lì soprattutto per quello. Arrivano al tavolo e si aiutano toccando le spalle degli ospiti. Ari è velocissima, Michele e Claudia sono i più gentili. Sono due trentenni milanesi. Lei lavora in Tribunale, lui è impiegato. Ad ottobre si sposeranno. Lo annunciano durante la cena. Partono gli applausi e diventano i protagonisti della serata al buio. Sono ciechi da sempre, ma sanno gestirsi in perfetta autonomia. Michele fa spesso jogging con un volontario dell’associazione. “E’ lui il più veloce – racconta quest’ultimo– quando corriamo insieme sono io il vero disabile”. A mezzanotte si riaccendono le luci. Noi torniamo alla normalità. Ci sembra di rinascere. Per i nostri camerieri, invece, non cambia nulla. Ogni cena, per loro, è una cena al buio.

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