giovedì 22 ottobre 2009

Pollici verdi a Milano (w gli orti urbani)

Francesco coltiva pomodori di ogni tipo, Luca, invece, sembra avere una passione per le zucchine che spesso regala agli amici "perché come fai a mangiare 40 chili di raccolto?". Giuseppe, infine, combatte contro le talpe che quest'anno gli hanno fatto fuori carote, insalata e melanzane; spera che i broccoli e i cavolfiori, che sta per piantare, possano avere fortuna migliore.




Siamo a Milano, a qualche chilometro dal Naviglio Grande, lì dove la città sfuma verso la periferia. Tra palazzoni di cemento e strade di asfalto bollente incontriamo gli amici degli orti urbani, coloro cioè che hanno deciso di prendere in affitto, per coltivarlo, un piccolo pezzo di terra: 75 mq per una cifra giornaliera (incluso l'utilizzo di una rete idrica ad hoc) pari al costo di un caffè al bar. Francesco, Luca, Giuseppe e tanti altri come loro (secondo uno studio della Coldiretti, almeno un italiano su quattro con età compresa tra i 25 e i 34 anni), sono liberi di piantare nel loro orticello in città ogni specie di verdura (e frutto).

Ma perché manager, agenti immobiliari, imprenditori, artisti, intellettuali o impiegati, usciti dall'ufficio, decidono di trasformarsi in piccoli agricoltori di città? I motivi possono essere diversi: Luca, che è un tecnico televisivo, sostiene che coltivare un orto è "come accudire una persona" e che, quindi, "se decidi di prendere in carico questa spicchio di terra, non puoi mica mollare: devi innaffiare, comprare i semi e tutta l'attrezzatura. Insomma, diventa davvero un bell'impegno. E una volta visti i frutti del lavoro, non si torna più indietro".....

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Mary Poppins, un ferro da stiro e un ritrattista

Ore 23: salgo sul tram, piazza Cavour, Milano.
Ore 23.05: mi si siede davanti un tale che poi scoprirò chiamarsi Roberto, il tipico lùmbard ex artigiano dei Navigli. Roberto fissa la sottoscritta e, ravanando tra 3000 fogli riposti in una cartellina, mi dice: "Lei è Mary Poppins e poi è carina, ha un faccia simpatica. Ora le faccio un ritratto".
E lo fa davvero.



Il "ritratto" è qui, in camera mia: ci sono io con gli occhi grandi, il fiocco tra i capelli, la sciarpa e, sulla sinistra, il mitico pacco (il premio "piega perfetta, consumi di meno" vinto alla lotteria della GGD9).
Faccio credere allo pseduo artista che trattasi di pacco bomba - vero pacco bomba, costruito in cantina, di quelli che alla Santa Barbara gli spariamo un superbotto e lui urla: "No, ma allora dillo che è una bomba che scendiamo tutti!".
Io: "Lei che ci vede qui dentro? Provi a usare la fantasia".
Lui: "Io ci vedo delle libagioni, delle fragole".
Io: "No, non si mangia. Ritenti, sarà più fortunato".
Lui: "Una macchina da caffè, una grattugia, non lo so, ma per piacere non andare via senza dirmi cosa c'è nel pacco!" (e continua a disegnare).
Ore 23.20: via Ludovico il Moro non-ricordo-il-numero, ultima fermata per me. Faccio presente che.
Lui: "Piacere, Roberto".
Io: "Non mi chiamo Mary Poppins, sono Michela".
Roberto si mette in ginocchio scongiurandomi di dirgli che cosa c'è nel pacco e quando confesso, lui che fa? Aggiunge al ritratto un ferro da stiro con dei cuoricini sulla mia testa (con una scritta che fa: "Ho delle cose da stirare"). Un genio, proprio.

mercoledì 14 ottobre 2009

Sorelle d'Italia alla riscossa

Che questo spot sia orrendo, le prime a dirlo sono proprio le donne. Non si capisce il senso, l'utilità e l'ospitata della famosa cantante pop italiana. Inno al trash, appunto

martedì 13 ottobre 2009

L'amore è l'oppio dei popoli

"Sei una giornalista freeland". E' sufficiente una frase come questa per far scomparire dalla propria agenda il numero di telefono di un uomo? "Sei una persona simpatika" (con la k, sì) è un'ulteriore spinta a favore della defenestrazione? Ovvero: quando è giusto dare una possibilità e quando invece, sperare-che-accada-qualcosa-di-bello è sinonimo di crocerossismo puro? Un caro amico lo chiamerebbe "carotaggio": la collezione di un vasto campionario di profili bestiali che spuntano ovunque, nella vita reale e in quella due-punto-zero (che poi vallo a capire dove sta il confine). Ulteriori esempi: quanto è "molliccio" un uomo che decide di chiudere con te lasciandoti (nolente) un orologio in regalo? (La traduzione esatta è: che dimentica il suo Breil sul comodino e siccome è un pirla codardo, non ha il coraggio di passare a casa tua?). E quanto è a-neuronico un 32enne che prima ti giudica "inadatta", ovvero non "corrispondente al suo profilo di donna ideale" e poi ti cerca disperatamente perché "non può pensare che tra voi non ci sarà mai una storia "? (sperando, quindi, che l'ingenua fanciulla di turno cada nelle sue braccia vinta dal desiderio masochista di piacere a un uomo doppiogiochista, per usare un eufemismo)?
Suvvia signori, che qui non si sta mica a pettinare le bambole!

domenica 11 ottobre 2009

Manifesto della Scapigliatura 2.0

In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, [..]; pieni d'ingegno quasi sempre; piú avanzati del loro tempo; indipendenti come l'aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati,...turbolenti - i quali - [..] - meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte le altre. Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; - io l'ho chiamata appunto la Scapigliatura. La qual parola prettamente italiana mi rese abbastanza bene il concetto di tal parte di popolazione, cosí diversa dall'altra pei suoi misteri, le sue miserie, i suoi dolori, le sue speranze, i suoi traviamenti, sconosciuti ai ricchi contenti, ai giovani dabbene, alle fanciulle guardate a vista, alle donne che amano il marito ed agli uomini serii che battono la strada maestra della vita, comoda, ombreggiata, senza emozioni, come senza pericoli.

Da "La Scapigliatura e il 6 febbraio" di Cletto Arrighi

sabato 10 ottobre 2009

Adesso basta

"Basta. Basta così. E basta così adesso. Ho lavorato diciannove anni. Ora voglio le altre vite, quelle che ho messo da parte fin qui. Il tempo, poterlo perdere. Gli altri, poterli scoprire al di fuori del mio ambiente. Quello che si può fare, non solo quello che ho sempre disperatamente fatto. L'avventura, perché della mia vita fin qui conoscevo le regole, di questa non so nulla. Vivere senza mappa, disegnandone una originale, passo per passo, chiedendomi ogni giorno: cosa accadrà? [..] Oggi però sembra che qualcosa stia cambiando. In molti vogliono evadere, smetterla con una vita che serve a produrre ma non a sviluppare. Il numero è crescente, ormai: persone in carriera e in gamba che non si sentono più di poter sostenere tutto questo peso, non sono più disposte a perdere i loro anni migliori. Una moltitudine vede che così non va, che le ore nel traffico sono alienanti, che la cattività dei luoghi, degli uffici, della gente con cui passiamo la vita intera (e che non frequenteremmo mai, se potessimo scegliere), sono una ricatto insopportabile Questo fenomeno ha un nome: si chiama Downshifting, che vuol dire scalare marcia, rallentare. Sono 16 milioni nel mondo ormai le persone che hanno fatto i conti e capito che si può vivere senza lavorare, scegliendo una vita diversa, più umana, serena, con più tempo a disposizione. Io sono uno di quelli. Ho cambiato vita da due anni. Volevo navigare e scrivere, la mia vita vera, da troppo tempo relegata in un cantuccio. Sono stati due anni meravigliosi, vorrei raccontarveli. Ho scritto tutto in un libro, per me, per fare il punto, ma anche perché devo dire al maggior numero possibile di persone che è possibile. Tentate, progettate, sognate una vita diversa. Non avete idea di che cosa sia il tempo, perdere tempo, fare piccole cose con calma, pensare alla vita di giorno in giorno".
Simone Perotti, "Adesso basta", Chiarelettere

martedì 6 ottobre 2009

Il manager e il Monopoli milanese


Ore 1920: zona Duomo. Salgo sul tram e becco il collega giornalista rampante "so tutto io" che quando mi vede gli viene un colpo. "Anvedi aho, quella che una volta stava in redazione, ma guarda un po' come si è conciata". Non lo dice (ovviamente) ma gli si legge tutto su quella faccia da santo.
"Perché perdersi qualche minuto di puro spasso - mi dico - adesso gli racconto della mia associazione e sarà tutto un 'ma che bello, ma che brava', tipica reazione della gente che adora il pourparler".

Il collega, dal canto suo, non perde l'occasione per raccontare la sua vita felice da giornalista in giro per l'Italia a intervistare gente dedita alla penitenza e cozze sottovuoto. E mentre parla della sua giornata da cronista impavido, io me la rido sotto i baffi.

Per 15 minuti - dico 15 minuti tutti - mi presto al teatrino e vesto i panni della snob pseudo intellettuale (molto pseudo, dubbiamente intellettuale). Mi sembra di giocare al Monopoli, quando tutti rilanciano perché hanno gli alberghi e non quelle sfigate casette di legno verde cacca. Insomma, il collega very expertised abbocca e concludo la mia presentazione da power point con l'immancabile invito alla festa anni 80 che abbiamo organizzato con un gruppo di amici (e qui l'impavido cronista mi guarda quasi stupito, ma che ci sarà mai di male a invitare la gente a un festa anni 80?boh).

Vabbè, alla fine lo saluto e scendo zompettando, perchè finalmente sono passata dal via e mi sono presa pure le 20mila lire.

Ma il meglio deve ancora venire. Entro in sala, vado al mio tavolo e subito noto che i miei commensali (età media 80 anni) guardano con ammirazione il decolletè della sottoscritta (in effetti bisogna capirli, i poverini hanno perso l'abitudine alle tette sode delle 30enni). Mi siedo e vedo sto cristiano-armadio 4 ante di manager dal curriculum lenzuolo, uno che parla dimenticando le concordanze, che invece di approfondire il tema Expo discetta di "visioni ecologiche" e che immagina una Milano, con 3 luride linee di metro e i tram a vapore, capace di accogliere 20 milioni di turisti senza batter ciglio. Insomma - rifletto - questo è quanto meno da ingenui (e lì di ingenui c'erano, al massimo, michela marra e la filippina all'ingresso. ma no, la filippina è una figlia di buona donna sennò a quest'ora sarebbe dalla nonnina meneghina a fare la badante).

Così decido di buttarmi sull'alcol evitando di incazzarmi ulteriormente per 'sto plurimiliardario che continua a dire che dobbiamo essere ottimisti perché "bisogna fare sistema blablablabla" (qualcuno ha fatto scuola, ndr), mentre io vedo già il mio vomito verde sull'elegante pavimento dell'albergo 5 stelle...

Dal cocktail passo al vino rosso che un vecchiaccio, con le dita zozze ma con una bellissima cravatta firmata Hermès, continua a offrirmi (eccerto, sappiamo tutti che lo fa per educazione) passandomi anche tutte le delicatessen che i camerieri siciliani (ma perché sono tutti siciliani i servitori?) portano al tavolo (rasento la bulimia).

Sono le 24 e me ne vado.
A pensarci bene era meglio il Monopoli del collega, che tanto pure se passi dal via senza prendere 20mila lire sai che un gioco del cavolo e vai a letto contento.

venerdì 2 ottobre 2009

Il web 2.0 per la pace


L'intervista a BJ Fogg, l'uomo che vuole portare la pace nel mondo con il web 2.0. Folle visionario o troppo ottimista?