giovedì 27 marzo 2008

Livio Berruti: l'atletica impari dalla piscina

di Michela Marra (Avvenire, 20 marzo 2008)
Ora che in vasca l’Italia del nuoto si è rimessa a pescare una me­daglia dietro l’altra, fa ancora più clamore la distanza che separa gli az­zurri in piscina (quattro podi solo nella prima giornata agli Europei) e quelli sul­le piste di atletica. Una vera rivoluzione rispetto a quello che succedeva 10-15 anni fa quando a primeggiare a livello mondiale erano i fondisti come Antibo, Cova, Mei, i maratoneti come Bordin, sino ai salti della leonessa Fiona May e agli ostacoli d’oro di Fabrizio Mori. Oggi le parti sembrano essersi comple­tamente rovesciate: il nuoto domina, so­gna in grande verso i Giochi di Pechino (e trascina sul podio anche gli azzurri dei tuffi e le sincronette), l’atletica ar­ranca. Ancorata a tre nomi d’eccellen­za: Stefano Baldini, oro nella maratona ad Atene 2004, Andrew Howe e Anto­nietta Di Martino. I recenti Mondiali in­door di Valencia hanno mostrato tutti i limiti: senza Howe, rimasto a casa, e con la Di Martino subito ko nell’alto, l’Italia non ha raccolto neppure una medaglia, sfiorando il podio solo con Donato nel triplo. Pochi talenti in pista, pochi giovani su cui puntare. Sono lontanissimi gli anni d’oro di Mennea, della Simeoni, di un to­rinese mingherlino, Livio Berruti, che correva con gli occhiali scuri e i calzet­toni bianchi e che un giorno d’estate di 48 anni fa incantò il mondo alle Olimpia­di di Roma, vincendo l’oro ed egua­gliando il primato mondiale sui 200 me­tri. Berruti non ha perso un grammo del­la grinta che lo portò sul podio, ma con amarezza deve rimarcare che oggi la realtà è molto diversa. «L’atletica è uno sport faticoso che ri­chiede preparazione e passione. In pi­sta sei solo con le tue forze e i tuoi pen­sieri, non puoi incolpare nessuno in ca­so di sconfitta come può succedere ne­gli sport di squadra. Hai molta pressio­ne e ti confronti davvero con tutto il mondo, non è facile emergere. Inoltre oggi prevale una cultura esasperata del­l’immagine e della vittoria a tutti i costi. Lo sport è sempre più condizionato da­gli sponsor: ormai tutto dipende da quanto e cosa guadagni».
Negli ultimi anni si nota una certa di­saffezione verso l’atletica. Perché? «La prima causa è la cattiva gestione del­lo sport nelle scuole. E anche la Federa­zione ha le sue colpe. Un tempo l’atleti­ca era lo sport principale, attirava cen­tinaia di ragazzi: poi è diventata del tut­to marginale. Il nuovo presidente della Fidal, Franco Arese, sta cercando di ri­mediare, ma ci vorrà ancora tempo per raggiungere discipline come il nuoto che hanno lavorato benissimo in questi an­ni ».
Toto Olimpiadi: a Pechino su chi può puntare l’atletica italiana?
«Su Andrew Howe, in primis. È un vero talento e ha quello spirito garibaldino che gli permette di gestire le tensioni della gara e arginare l’eccesso di re­sponsabilità di cui è stato caricato. E ha come allenatrice sua madre (Renée Fel­ton, ex ostacolista), forse anche troppo grintosa, ma che sa spronarlo alla gran­de. A Pechino può ripetere l’argento dei Mondiali, ma deve imparare a control­larsi (a Osaka esultò in modo sfrenato ancor prima che saltasse il panamense Saladino, poi oro). Bravissima anche la Di Martino, peccato che paghi qualche cm in altezza rispetto alle sue rivali. Per il resto, non vedo grandi nomi. Ma da qui ai Giochi salterà fuori qualche sor­presa...».


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