martedì 23 ottobre 2007

Uomini che...il loro tetto sono le stelle

Remo ha una storia che definisce “un romanzo”. “Non basterebbe una notte intera per raccontarla”, ci dice mentre finisce il suo piatto: salsicce al sugo. Gliele hanno portate gli amici della Comunità di Sant’Egidio e lui, che si è avvicinato quasi furtivamente al banchetto allestito su una tavola di marmo, vuole fare il bis. Remo odia le fotografie, ma appena la macchina digitale scompare dalla circolazione, parla come un fiume in piena. Parla dei suoi genitori che ha abbandonato da giovanissimo, dopo anni di litigi. Parla del fratello che lo ospita a ora di cena; gli fa da mangiare ma “ha troppi problemi per potermi tenere con lui in casa”. Parla degli extracomunitari che “hanno rubato il lavoro a tutti”, anche a lui che da sempre è abituato a vivere alla giornata, imbianchino di mestiere. Parla di destino, quello che “lo ha costretto a vivere in questo modo perché un affitto costa troppo e nessuno mi aiuta”. Remo ha lo sguardo duro, di chi dalla vita ha avuto poco, pur non desiderano nulla d’irraggiungibile. Vorrebbe un’esistenza normale, ma allarga le braccia e non riesce a capire cosa nell’ingranaggio della sua vita si sia inceppato. Non lo sa neanche il suo amico di tenda, un piccolo uomo di 50 anni che, emigrato a vent’anni dalla Basilicata, precisa che lui un lavoretto ce l’ha: aiuta un amico che gestisce una tabaccheria. Il problema è sempre lo stesso: non ci sono soldi per pagare un affitto e anche i familiari, che abitano nella zona, “non possono permettersi di aiutarci”. Nel circolo vizioso della povertà sembrano cadere tante persone, con biografie diverse e contrastanti: uomini che nelle notti autunnali si incontrano davanti ad un piatto caldo e che in quelle estive passano le ore a fumare in una piazza, quasi nascosta, alle spalle della stazione Cadorna. Ad esempio c’è Antonio (nome di fantasia) che non rinuncia alla sua cravatta e al suo completo e poi c’è Angelo, una vita da pr (“ho fatto vincere le elezioni ad un presidente del Sud America”), amici sparsi nella città che lo ospitano a turno, Marlboro rosse in tasca e un cellulare che squilla in continuazione. Perché Angelo non è come gli altri: lui ha una sua rete di conoscenze che gli garantiscono una vita tutto sommato agevole rispetto a quella dei senza tetto che si incontrano in questo angolo di Milano. Non si può definire come il tipico clochard; lui, Angelo, parla di tecniche di marketing e di relazioni professionali, come un professore da una cattedra o un consulente navigato. “Io lavoro”, dice con lo sguardo orgoglioso. Angelo ci presenta “gli amici della notte”, uno ad uno. Tra questi c’è anche “il finnico”, Kari, occhi azzurri, sguardo nordico e una croce di metallo sulla maglia di lana. Kari è da venti anni in Italia e parla benissimo la nostra lingua. “Come mai sei a Milano?”, gli chiediamo. “E’ stato il destino”, risponde serafico, sorridendo agli amici della notte. Quelli che alle dieci e mezzo di sera montano le tende. E che alle cinque, quando la città meneghina ancora dorme, le devono far sparire, altrimenti i ghisa si lamentano. Si lamenta talvolta anche la gente che li vede, passando da Cadorna. Qualcuno, invece, non capisce: crede sia un happening notturno, un incontro tra persone che fanno parte di uno stesso gruppo, della stessa associazione. Macché.
Fa freddo, si avvicina l’inverno. Un amico di Angelo ci saluta e scompare nel suo rifugio. Anche Angelo va via: alcuni amici lo aspettano. Gli altri salutano, qualcuno già dorme. Anche noi andiamo via.
Noi andiamo a casa.

Ps: gli amici di Cadorna non mi hanno dato il permesso di pubblicare le foto che li ritraggono e che ho scattato durante la serata passata in loro compagnia. Per rispetto, e poiché io per prima credo che un blog non debba essere meno serio di un giornale o di un altro mezzo d'informazione, ho deciso di non postare alcuna immagine con i loro volti.

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